Nell’Agosto del 1990 decidemmo di andare a scalare in quella che era ancora Yugoslavia, destinazione Starigrad Paklenica, internet era ancora un sogno e le uniche informazioni che avevamo erano che ai margini del paesino di Starigrad c’era un canyon con delle belle pareti da scalare ed era tutto quello che ci serviva. Partimmo in 4, 2 coppie. Ricordo una lunga coda sul confine Italia-Yugoslavia e un viaggio eterno attraverso la costa dalmata, con strade incerte compensate da panorami mozzafiato. In tarda serata arrivammo finalmente a Starigrad, piccolo paese direttamente sul mare. L’unico negozio di alimentari presente fungeva anche da ufficio turistico e possedeva l’unico telefono pubblico disponibile. Di solito dormivamo in campeggio ma con nostro stupore scoprimmo che i prezzi delle abitazioni erano addirittura inferiori a quelli del camping, per cui, una volta tanto, ci concedemmo il lusso di una camera e una cucina vera. L’appartamento semplice ma carino, con un bel terrazzo affacciato direttamente su un mare trasparentissimo, il canyon dove poter scalare alle spalle, quindi comodissimo. Un secondo piano al costo equivalente di 5000 lire a notte, solo poco tempo prima ne avevamo pagato 35 per un posto tenda sulle alpi Svizzere. Al piano terra l’abitazione dei proprietari. Di quel luogo ricordo le zanzare, l’acqua trasparente e gelida e il venticello fresco del vicino canyon che ci permetteva delle piacevoli scalate nonostante il caldo. La cosa però che ricordo di più è il sorriso e la gentilezza dei proprietari. Arrivavano tutte le mattine, padre madre e figlia, una ragazzona di almeno 180 cm di altezza con lunghi capelli neri. Tutte le mattine ci offrivano, spremuta di arancio, biscotti, torta e l’immancabile grappa. Allora seguivo un regime alimentare davvero rigido in cui alcool e dolci erano banditi ma difronte a tanta gentilezza dovetti accettare l’offerta. Noi non capivamo nulla di quello che ci dicevano e loro non capivano nulla di quello che dicevamo noi, per cui le nostre conversazioni erano fatte di soli sorrisi. Mi stupiva molto quella gentilezza gratuita, in fondo noi pagavamo una miseria e sicuramente la colazione non era prevista e neppure tanta disponibilità. Mi stupiva anche il fatto che tutta la famiglia, ogni giorno veniva a salutarci con quei doni. Ci fermammo 4-5 giorni, fatti di scalate e tuffi in quel mare meraviglioso. Il nostro viaggio proseguì quindi verso l’Austria per finire in Francia in un appuntamento ormai classico alle gole del Verdon. Accantonai velocemente il ricordo dei 4-5 giorni vissuti a Paklenica…fino a quando, nel 1991, i Tg cominciarono a parlare di guerra in quei territori. La primissima cosa che mi saltò alla mente guardando quelle immagini, furono i sorrisi e i volti di quella famiglia di Starigrag che tutte le mattine ci veniva a salutare. Mi domandavo dov’erano, se erano stati coinvolti nel conflitto, come si sentivano. Cominciai a seguire tutti i tg e a comprare tutti i giornali che davano informazioni sulla guerra. Purtroppo proprio quel tratto di costa risultava essere tra i più coinvolti dal conflitto in corso. Ero piuttosto turbato, avrei voluto avere un telefono o un indirizzo di quella famiglia ma non possedevo nulla. Poi un giorno lessi un articolo, credo su Espresso o Panorama, parlava di gruppi di Italiani che effettuavano dei viaggi “umanitari” in quelle zone, per portare cibo o per sostenere la popolazione e in particolare i bambini. La cosa mi sembrava davvero lontana dalle mie corde ma l’amo ormai era stato buttato. Ad un certo punto decido che in fondo potevo fare qualche cosa pure io. Ero talmente lontano da quel mondo che non avevo nessun riferimento, non ero a conoscenza di nulla e completamente ignorante su organizzazioni umanitarie e non. L’unico nome di riferimento che mi veniva in mente, forse per sentito dire, era quello della Caritas. Presi quindi l’elenco telefonico, cercai Caritas e telefonai. Mi risposero che loro al momento erano fermi ma mi diedero un numero telefonico di una associazione di Rimini, molta attiva sul territorio Yugoslavo. Si trattava della Papa Giovanni XXIII di Don Oreste Benzi, la cosa mi lasciò perplesso, non avevo molto feeling con il mondo cattolico ed avevo molti dubbi. Provai comunque a telefonare e mi rispose Alberto. Mi fece una buona impressione. Alberto mi comunicò che proprio quel fine settimana ci sarebbe stato un incontro in quel di Rimini, dove avrebbero spiegato i loro interventi in quei territori proponendo, a chi ne avesse avuto voglia, di aderire e partecipare. Il caso volle che proprio in quel periodo a Rimini si svolgeva la fiera del fitness e la palestra dove mi allenavo avrebbe partecipato all’evento. Mi sembrava una buona occasione, avrei viaggiato insieme a loro, e avrei avuto anche la scusa per fuggire dall’incontro con la Papa Giovanni in caso avessi trovato un ambiente e me sfavorevole. Avevo mille dubbi. Andai quindi a questo incontro e al mio arrivo fu proprio Alberto ad accogliermi. Fui stupito dal gran numero di persone, per lo più ragazzi, che vi partecipavano. Per prima cosa comunicai la mia estraneità al mondo cattolico e mi professai non credente (anche se in realtà non è proprio una affermazione corretta), mi risposero che non era importante per loro e la cosa mi fece una gran piacere. Proposero diverse iniziative in molte zone di quella che adesso conosciamo come Croazia. In particolare si trattava di sostegno ai bambini nei numerosi campi profughi nati in quel periodo. Uno di questi si trovava nei dintorni di Zara e la strada per arrivarci passava proprio attraverso Starigrad-Paklenica. Decisi quindi per quella destinazione, nella speranza di riuscire a vedere o ad avere informazioni di quella famiglia di cui non sapevo neppure il nome. La mia permanenza in quel campo avrebbe dovuto essere di 15 giorni.
Il primo di settembre partimmo, avevo una sensazione strana, non avevo mai fatto nulla del genere, e mi sentivo come un corpo estraneo rispetto agli altri partecipanti che comunque, in qualche modo, avevano già avuto esperienza in ambito sociale o avevano già partecipato a periodi di animazione con bambini o anziani, io non avevo nulla di tutto quello e la cosa non mi faceva stare benissimo.
Il viaggio fu davvero lunghissimo, la strada era la stessa che avevo percorso nel mio viaggio scalatorio ma l’atmosfera era sensibilmente diversa. Scendemmo lungo la costa croata fino a raggiungere la cittadina di Karlobag, proprio poco prima di Starigrad, purtroppo però la strada lì si interrompeva, di lì in poi era zona di prima linea e non era possibile andare oltre. Fummo costretti quindi a prendere un traghetto, sbarcare sull’isola di Pag, attraversarla in direzione sud e attraverso un ponte ricongiungersi con la terraferma e arrivare quindi a Zara e al campoprofughi di Punta Skala, aggirando in questo modo la zona di combattimento. Dal traghetto che ci portava verso Pag erano visibili le gole del Canyon di Paklenica e il paesino di Starigrag, io mi sforzavo, senza riuscirci, di riconoscere la casetta bianca dove ero stato. Arrivammo al campo profughi di Punta Sakala verso sera, ci trovavamo a circa 8 km da Zara. L’atmosfera era davvero allucinante, tantissimi bambini che ci saltavano letteralmente addosso e molti soldati che facevano ritorno dalle zone di combattimento. Mi sembrava di essere davvero in un altro mondo. Più i giorni passavano e più mi rendevo conto che qualcosa dentro di me stava cambiando, non sapevo bene cosa e ancora oggi non possiedo una risposta precisa, fatto sta che era in atto un cambiamento piuttosto sensibile. Ricordo le mattine all’alba passate a riflettere sulla spiaggia del campo, ascoltando una cassetta di Ivano Fossati comprata all’ultimo momento in un autogrill di Mestre. Forse è in quei momenti che così, all’improvviso, senza nessuna logica e senza aver compreso bene dove mi trovavo che i miei 15 giorni di permanenza in quei territori si trasformarono in 16 anni. A Starigrad riuscì ad andare solamente 2 anni dopo, cercai la casa dove avevo alloggiato, la trovai, la famiglia però non c’era più, era fuggita da parenti in Germania ma nessuno sapeva dirmi altro. Peccato, mi sarebbe piaciuto dirgli come i loro sorrisi e la loro gentilezza mi avessero cambiato la vita…per sempre.
Spesso sottovalutiamo l’importanza di un viaggio, partiamo sempre con un programma più o meno stabilito e un biglietto di andata e ritorno, non mettiamo mai in conto che quel viaggio ci può cambiare, basta un attimo, un panorama, una musica, una persona, un profumo e il nostro biglietto si trasforma improvvisamente in un viaggio di sola andata.